Parrocchia Sant'Antonio di ALBEROBELLO

DON LUIGI GUANELLA: SULLA FRONTIERA DELL’EMARGINAZIONE

SECONDA PARTE

Per don Guanella i poveri entrano in casa nostra come fratelli, con la speranza di ricostruirsi una vita, ma senza falsi salti in avanti o cambi gratuiti di condizioni o di stato; sono poveri a cui è offerta la possibilità di mezzi adatti per recuperare i ritardi sociali, economici, culturali e anche psichici; entrano come in un’azienda fondata sul lavoro personale e sulla solidarietà di molti amici; apprendono come si costruisce una vita e ci provano, se sono giovani. Se sono anziani, ritrovano la gioia di stare fra amici che sanno preoccuparsi ancora di loro, di sentirsi ancora al centro di interessi personali e di affetti, di dimenticare un poco l’amarezza verso una società che tentava di scaricarli come naufraghi, di riprovare forse ancora la sensazione di essere utili a qualche cosa e di morire con una speranza.

Fra i molti e diversi casi di povertà da assistere, don Guanella amò orientarsi lungo due linee principali: “i più poveri e i più abbandonati, fra i figli poveri ed i vecchi poveri”. Ma “tra i figli e i vecchi poveri venivano in abbondanza le creature scarse di mente che, ad esempio del Cottolengo, la casa chiamò buoni figli”. Furono specialmente queste categorie - ragazzi, anziani, disabili - che trovarono assistenza e ospitalità nella sua opera di Como, e, quando questa fu sufficientemente sistemata, si passò verso località nuove, a raggio sempre più largo lungo l’Italia e all’estero: a Milano, a Como-Lora, poi a Roveredo nella Svizzera italiana, a Nuovo Olonio nel 1899 con l’avvio delle colonie agricole per i subnormali; a Fratta nel Polesine, a Roma, fino a Cosenza e negli Stati Uniti. E attorno a queste istituzioni una pleiade di opere diverse, dagli asili per l’infanzia alle parrocchie, alle assistenze per gli emigrati, stazioni climatiche e case con laboratori tipografici, incannatoi e artigianati vari maschili e femminili. Si cominciava sempre dal piccolo, poi la Provvidenza conduceva anche assai lontano: si andava avanti e “da cosa nasce cosa”, come gli era ormai proverbiale ripetere. E contemporaneamente la Provvidenza mandava i collaboratori adatti: due nuclei di religiose e di religiosi si andarono costituendo gradualmente, coinvolti dalla figura carismatica di don Guanella, dal desiderio di fare un po’ di bene, sostenuti dalla grazia di Dio. Nel 1912 don Leonardo Mazzucchi, primo biografo e tra i primi successori del Fondatore, preparava un breve scritto per un albo commemorativo del venticinquesimo delle opere, che poi non venne forse mai pubblicato: “Dal 1886 al 1911: da Como a Roma. Venticinque anni sono, un povero prete montanaro, messo a reggere una piccola parrocchia del Lario, che molti osteggiavano, i benevoli compativano credendolo incapace a dare esecuzione ai suoi grandi ideali; qualche lira in tasca; alcune camere modeste in una via secondaria di Como. Null’altro? Molto altro: tutto; c’era la persuasione, la fede inconcussa in una vocazione data da Dio, c’era il graduale ma effettivo svolgersi dell’assistenza del Signore. Difatti, a distanza di venticinque anni, ecco una fioritura di case in diverse parti d’Italia e dell’estero, una folla di bisognosi beneficati, una schiera di seguaci generosi, pronti dietro a lui a consacrarsi ad estendere le conquiste della carità cristiana. Cioè: anche adesso, dopo venticinque anni, c’è ancor nulla da parte nostra, siamo nulla. Sono poveri ricoveri, veramente poveri, pieni di bisogni, recanti nel mare della beneficenza solo una gocciola insufficiente alla vasta pianura riarsa delle sofferenze umane; siamo umili preti, peccatori e sconosciuti, che abbiamo avuto la sorte avventurata e gratuita di trasmettere ai corpi e alle anime dei sofferenti e dei bisognosi quei soccorsi, che la numerosa accolta dei benefattori ci ha man mano affidato, con quella volonterosità che ci viene dal desiderio di far bene e di fare del bene e dalla grazia di Dio”.

A questi suoi figli e figlie spirituali trasmetteva il suo spirito e la sua missione. Per lui era quasi giunta l’ora di smontare la tenda e riavvolgerla. Gli ultimi atti furono un impegnativo viaggio negli Stati Uniti nell’inverno del 1912-1913; un duro impegno di presenza stimolante nel Gennaio 1915 fra i terremotati della Marsica, senza risparmiarsi un momento.

A fine Settembre fu colpito da paralisi e in breve il suo corpo cedette totalmente.

Lasciava debiti e poveri. Lasciava anche in contropartita e in missione il mondo intero: “Voi non avete più patria, perché tutto il mondo è patria vostra. La patria è là dove è Dio, e Dio è dappertutto”. Alla sua morte molti restarono stupiti nel vedere tutti quei poveri, ai quali don Guanella non aveva chiesto, al loro battere alla porta di casa, nient’altro che l’aver sofferto; non chiedeva tessera di partito né raccomandazioni di potenti. Presentavano le loro sofferenze ed egli li accettava in casa.

don Pierino Pellegrini, guanelliano