Parrocchia Sant'Antonio di ALBEROBELLO

Don BeppeTorna il Natale e con esso il desiderio di ricevere doni, di scartare regali. Questa attesa consumistica, per quanto bella, in realtà ci fa perdere il vero significato di questo evento che è rivoluzionario, proprio perché annuncia agli uomini di tutti i tempi che Natale è il dono di Gesù. Egli nasce per noi e viene per darsi totalmente a noi! Questo è quanto dovremmo attenderci e predisporci ad accogliere senza tante cose che ci stordiscono.

L’atteggiamento di Dio nei nostri confronti è amore offerto, desiderio di relazione, è carità senza fine. La storia del “L’albero generoso”, di Shel Silverstein, può aiutarci a capire.

C’era una volta un albero. Un bambino veniva a visitarlo tutti i giorni.

Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone.

Si arrampicava sul suo tronco e dondolava. Mangiava i suoi frutti.

Quando era stanco il bambino si addormentava all’ombra dell’albero.

Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. E l’albero era felice.

Ma il tempo passò e il bambino crebbe e l’albero rimase spesso solo.

Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’alberogli disse:

“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami,

mangia i miei frutti e sii felice”. “Sono troppo grande ormai per giocare”, disse il bambino.

“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Puoi darmi dei soldi?”.

“Mi dispiace”, rispose l’albero “io non ho dei soldi. Prendi i miei frutti e va’ a venderli in città.

Così avrai dei soldi e sarai felice”. Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li

porto via. E l’albero fu felice. Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare...

E l’albero divenne triste.

Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:

“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”.

“Ho troppo da fare e non ho tempo, rispose il bambino.

“Voglio una casa che mi ripari, voglio una moglie e voglio dei bambini. Puoi darmi una casa?”.

“Io non ho una casa”, disse l’albero.

“La mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa”. Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via.

E l’albero fu felice.

Per molto tempo il bambino non venne. Quando ritornò, l’albero era così felice che riusciva a malapena a parlare.

“Avvicinati, bambino mio”, mormorò “vieni a giocare”.

“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare”, disse il bambino. “Voglio una barca per fuggire lontano di qui.

Tu puoi darmi una barca?”. “Taglia il mio tronco e fatti una barca”, disse l’albero.

Allora il bambino tagliò il tronco. E l’albero fu felice... ma non del tutto.

Molto, molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.

“Mi dispiace, bambino mio”, disse l’albero. “Vorrei tanto donarti qualcosa... ma non ho più niente.

Sono solo un vecchio ceppo”. “Non ho più bisogno di molto, ormai”, disse il bambino. “Solo un posticino

tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”.

“Ebbene”, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva “ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.

Avvicinati, siediti e riposati”. Così fece il bambino. E l’albero fu felice”.

 

Gesù viene per testimoniare l’amore di Dio per gli uomini, ci dà la sua vita: cura i malati, accoglie i poveri, gli emarginati e cerca i peccatori – fino a morire sullacroce, per poi risorgere.

È a questo stile di vita che il Dio bambino ci conduce: invitandoci a diventare dono per i fratelli. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.

Lungo il corso della storia, numerosi uomini e donne hanno fatto del servizio generoso agli ultimi il senso della loro vita, concretizzando così il valore evangelico della carità. Tra questi Luigi Guanella, un santo che tutto condiva di carità: “in omnibus Caritas”. Egli ha cercato i poveri come il dono più prezioso, e diceva: “Fermarsi non si può, finche ci sono poveri da soccorrere”.

Nonostante tanta indifferenza e individualismo, Dio ha posto nel nostro cuore la radice dell’amore. Diventare dono per i fratelli e le sorelle che soffrono è un cammino di crescita. Il presepe ci aiuta a prendere consapevolezza dei doni ricevuti da Dio e dalle persone vicine. Dobbiamo essere attenti a quanto abbiamo ricevuto, perché così ci educhiamo a donare a nostra volta.

I nostri doni migliori sono in realtà quelli con cui esprimiamo la nostra umanità: amicizia, bontà, pazienza, gioia, perdono, gentilezza, amore, speranza, fiducia ... Questo siamo chiamati a condividere. Il dono prende valore se entra in una relazione significativa tra un io e un tu. Ma come esprimere il dono di sé al fratello che soffre ed al prossimo in genere?

Sicuramente “CON”:

- il dono di un cuore ospitale, che crea lo spazio per accogliere l’altro e farlo sentire un familiare;

- il dono della visita, che richiede di uscire da sé e andare verso l’altro, in segno di vicinanza e accoglienza;

- il dono della presenza, che si esprime nel silenzio e con il contatto fisico e trasmette sicurezza e calore;

- il dono del servizio per rispondere ai bisogni dell’altro;

- il dono del “camminare insieme”, che aiuta a trovare risposte al senso della vita;

- il dono della preghiera accompagnata da gesti di vicinanza concreta;

- il dono della vita come atto d’amore verso il prossimo.

Dare è ricevere. Chi “regala” un po’ di se stesso al prossimo, non tarda ad accorgersi che il dono fatto all’altro lo arricchisce.

“Si potrebbe dire – scrive Giovanni Paolo II – che la sofferenza presente sotto forme diverse nel nostro mondo umano, vi sia anche per sprigionare nell´uomo l´amore”.

Fare carità aiuta a rimarginare le ferite causate dall’egoismo e dall’indifferenza.

Il bimbo della grotta viene a darci la capacità di donare e di essere dono per coloro che soffrono. E noi che veniamo a cercarlo tra la paglia di una mangiatoia, dobbiamo seguirne le orme tracciate. Dobbiamo prenderci cura di tutti i bisogni dei fratelli, preoccupandoci di coinvolgere proprio tutti, come ha fatto don Guanella, superando l’individualismo, la sfiducia negli altri e la paura del confronto.

“Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (S. Giovanni).

L’essenza più profonda dell’amore è “essere un dono”. La carità è amore ricevuto e donato; è amore che dal Figlio discende su di noi; è amore creatore, per cui noi stessi siamo; è amore redentore, che ama e perdona.

Il Natale non deve essere ai nostri occhi un albero dai fili d’oro, dalle luci scintillanti posto lì nella piazza del paese, ma piuttosto un vecchio ceppo di legno capace ancora di dar riposo al fratello stanco.

Auguri!

Don Beppe